L’arte di Salvatore Rizzuti, occasione di rigenerazione culturale e di sviluppo
Maria Iaconopubblicato su: Catalogo della mostra permanente delle trentatré opere donate al Museo Civico di Caltabellotta, autore: Maria Iacono
La donazione al Museo Civico di Caltabellotta di un fondo di ben trentatré opere scultoree e plastico-figurative (più Vespro siciliano, già donato nel dicembre 2010) dell’artista Salvatore Rizzuti, costituisce il fatto e la premessa di un lungo discorso che non potrà concentrarsi nella densità della cerimonia dell’ostensione espositiva né, a maggior ragione, potrà esaurirvisi, ma che dovrà svolgersi e svilupparsi nel tempo perpetuo dell’esposizione stessa.
La prima e più ovvia considerazione da fare per dare avvio a questo discorso è che il copioso e liberale donativo del Maestro Rizzuti rappresenterà per sempre il “tesoretto” e il cuore propulsivo del giovane Museo Civico. Lo connoterà nel tempo e di fatto lo designerà nell’intesa generale e nel linguaggio comune. Si voglia o no il nostro Museo, al di sopra delle proprie originali e moderne finalità documentarie ed illustrative, diventerà il luogo più eletto e antologicamente completo della raffinatissima arte scultorea del nostro grande Artista. Finirà dunque con l’essere indicato come il Museo di Rizzuti.
Accanto a questa preliminare considerazione, e come suo immediato corollario propositivo, ci sarà da assicurare un continuativo e permanente approfondimento storico-artistico dell’opera creativa dello scultore, delle sue radici, delle sue vibranti implicazioni culturali, del suo particolarissimo stile, dei suoi esiti eclettici ma interiormente coerenti, perché intuiti e distillati dalla tradizione storica ed artistica siciliana, ed in particolare da quella che si andò accumulando nel periodo del Rinascimento, quando l’arrivo ed il deposito dei più svariati influssi creò un linguaggio ricco di sfaccettature, polisemico e insuperabilmente suggestivo.
Il libro d’aria e di pietra da cui Salvatore Rizzuti ha inferito questa tradizione siciliana che in illo tempore ebbe fama ed ammirazione europea, e che ancora oggi, unitamente al periodo siceliota, riscuote sul piano culturale il rispetto e la stima di cui gode quella vera e paradigmatica Sicilia, è stato ed è Caltabellotta.
Ho sempre pensato che se Salvatore Rizzuti non fosse nato in questa città di storia, sarebbe dovuto nascervi, tant’è la necessità che io avverto ed apprendo dal rapporto tra lui e la terra natale. Sembra quasi che lo scultore abbia voluto, sempre, in mimesi e metafore, in parabole e storie, smascherare, dirozzare, disvelare dalla materia la sua Caltabellotta: il senso di Caltabellotta, la sua storia, il suo silenzio d’altura che narra le epoche, la sua catafratta mobilità.
E sembra che anche Caltabellotta abbia, di lui, fatto lo stesso, scolpendogli il genio sin dalla nascita.
Oggi si ristabilisce un sinallagma che vede da una parte la Terra Madre e dall’altra il Figlio che ritorna e dona ad essa un saggio di ciò che è stato in grado di fare. Caltabellotta come l’Itaca di questo nostro Odisseo dell’arte.
Il canto delle sirene, La Grande Madre, Soffio, Attesa, Parto alla greca, sono, tra i tanti, alcuni soggetti muliebri delle opere donate ed acquisite stabilmente dal Museo Civico: una sorta di caleidoscopica variazione sul tema della donna come Madre, come Terra, come Storia, come Sicilia. Rizzuti, primeggiante neogotico del postmoderno, e cioè di un oggi che mentre si ricerca già passa nel proprio ritorno di ricerca di valori, muovendo dall’idea primordiale e sacrale delle preistoriche Veneri sicane, trasfonde nel magistero della resa gli influssi d’arte e di storia che da millenni hanno inseminato la Sicilia: le maniere gotiche ispano-catalane, le arie francesi, le gentilezze occitaniche, i fugati corporei serpottiani, le plasticità materiche del Gagini. C’è atavicamente, ancestralmente, nell’arte del Rizzuti, il potente ricettore e filtro storico della sua Caltabellotta, di questa Erice d’entroterra, e che sempre più Città d’Arte e di storia deve divenire, in un progetto culturale non dissimile da un grande progetto politico, ed anzi non diversamente identitario: la cultura come oggetto e risorsa per la direzione della vita e della realtà. Di più, in un paese bloccato e apparentemente condannato al declino come l’Italia, ciò che a lungo è mancato è stata una strategia complessiva capace di creare un circolo virtuoso tra politica e cultura, e all’interno di questa, la capacità di individuare quegli ambiti da cui maggiormente poteva scaturire il senso di un’etica della conoscenza e della responsabilità necessarie per riportare la classe dirigente sul binario dei valori di una civiltà moderna e matura. Quella cultura che – sono parole di Giorgio Napolitano – è stata “una scelta di fondo troppo a lungo trascurata”.
In questi termini ho sempre cercato di declinare il mio impegno nella vita politica, nella determinazione delle sue scelte, nell’ambizione delle sue più intime prospettive.
Alla base di una cultura, in sostanza, c’è una società e la società trova la sua essenza nella cultura che si è data.
La politica si nutre, infatti, sempre di tradizioni, di storia, di elaborazione filosofica. Per cambiare la politica è necessaria una rivoluzione culturale che porti ad una nuova pratica politica.
La cultura, da privilegio di una classe deve trasformarsi per assumere il significato di un servizio sociale a favore di tutti.
Così l’opera di Salvatore Rizzuti ha un valore che non è meramente artistico ma può e deve porre le condizioni per ripensare un territorio e, con esso, il suo travaglio e la sua rigenerazione, sapendo offrire quella capacità di pensiero cui tutti possono attingere come un momento determinante del percorso umano e delle relazioni fra saperi individuali e contesti sociali.
Ciò è possibile. Caltabellotta è divenuta polo d’arte non meno di altri siti – il Cretto di Burri, per esempio, o la nuova Gibellina, o la messinese Fiumara d’Arte. Ora bisogna prenderne piena coscienza ed agire con determinazione ed idee incisive. In questa azione il Museo di Caltabellotta dovrà fungere da faro.